La morte del coniuge, in pendenza di giudizio di separazione o divorzio, anche nella fase di legittimita’ davanti alla Corte di Cassazione, fa cessare il rapporto coniugale e la stessa materia del contendere sia sul giudizio relativo allo status che su quello relativo alle domande accessorie.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 4092 del 20 Febbraio 2018, ha confermato tale principio precisando che la cessazione deve estendersi anche alle domande accessorie che sono “autonomamente” sub judice al momento della morte del coniuge.
Se e’ vero, afferma la Corte, che la pronuncia del divorzio, con sentenza non definitiva, non e’ piu’ tangibile, per effetto del suo passaggio in giudicato, la pendenza del giudizio sulle domande accessorie al momento della morte non puo’ costituire una causa di scissione del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio. “Se la pronuncia non definitiva sullo status si legittima nell’ottica di una attribuzione non procrastinabile dello status di divorziato ai fini della riacquisizione della libera determinazione delle scelte personali degli ex coniugi, connessa alla fine dello status derivante dal matrimonio, e in quanto tale status non ha piu’ ragione di perdurare” – sostiene la Cassazione civile – “e’ nello stesso tempo indiscutibile che solo ragioni di complessita’ istruttoria giustificano la pronuncia differita sulle domande accessorie.”
Ne consegue, secondo la Corte di Cassazione, che, per un verso, deve ritenersi improseguibile, nei confronti degli eredi del coniuge, l’azione intrapresa per il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, e, per altro verso, che gli eredi del coniuge obbligato non possono subentrare nella sua posizione processuale al fine di far accertare l’insussistenza del suo obbligo di contribuire al mantenimento e di ottenere la restituzione delle somme versate sulla base di provvedimenti interinali o non definitivi.