Nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versatale a titolo di caparra confirmatoria dall’altra parte contrattuale, non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un’univoca volonta’ abdicativa del suo diritto da parte del creditore, mediante l’esercizio del recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell’inadempiente al relativo obbligo.
Lo ha affermato la Cassazione Civile con sentenza 12 luglio 2021 n.19801 nella quale la Corte ha proceduto ad un inquadramento generale dell’istituto come previsto dall’articolo 1385 c.c., soffermandosi sulle caratteristiche della caparra confirmatoria, sulla sua natura e funzione, e sulle azioni ad essa correlate.
La Cassazione ha, tra l’altro, affermato che la caparra confirmatoria:
1) ha natura composita – consistendo in una somma di denaro o in una quantita’ di cose fungibili – e funzione “eclettica” essendo volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte (e sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione).
2) consente, in via di autotutela, di recedere dal contratto, senza necessita’ di adire il giudice ed indica la preventiva e forfettaria liquidazione del danno derivante dal recesso – ove riconosciuto legittimo – che la parte sia stata costretta ad esercitare a causa dell’inadempimento della controparte.
3) non ha funzione probatoria e sanzionatoria, cosi’ distinguendosi sia dalla caparra penitenziale, che costituisce il corrispettivo del diritto di recesso convenzionale, sia dalla clausola penale, diversamente dalla quale non pone un limite al danno risarcibile, cosicche’ la parte non inadempiente puo’ recedere senza dover proporre domanda giudiziale (salva, ovviamente, la mancata produzione degli effetti favorevoli in caso di esito negativo dell’iniziativa stragiudiziale) o intimare la diffida ad adempiere, e trattenere la caparra ricevuta o esigere il doppio di quella prestata senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo.
4) La parte non inadempiente puo’ anche non esercitare il recesso e chiedere la risoluzione del contratto e l’integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali (articolo 1385 c.c., comma 3), e cioe’ sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza, nel qual caso non puo’ incamerare la caparra, essendole invece consentito trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spettantele a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati (Cfr, tra le altre, Cass.civ. n. 5095/2015).
5) Il recesso previsto dall’articolo 1385 c.c., comma 2, presupponendo l’inadempimento della controparte avente le stesse caratteristiche dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, è uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelli di cui agli articoli 1454, 1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Al fenomeno risolutivo, infatti, lo collegano sia i presupposti, rappresentati dall’inadempimento dell’altro contraente, che deve essere gravemente colpevole e di non scarsa importanza, sia le conseguenze, ravvisabili nella caducazione “ex tunc” degli effetti del contratto.
6) Qualora, anziche’ recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento o di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra e’ ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione. In questa ipotesi essa perde la funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento integrale del danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli articoli 1453 e segg. c.c..
7) Anche dopo aver proposto la domanda di risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente puo’ decidere di esercitare il recesso, in tal caso rinunziando implicitamente al risarcimento integrale e tornando ad accontentarsi della somma convenzionalmente predeterminata al riguardo. Ne consegue che ben puo’, pertanto, il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di risoluzione (cfr. Cass. civ. n. 2032/1994 e Cass. civ. n. 22657/2017).
Avv. Carmela Ruggeri